mercoledì 16 aprile 2025

A Tavola con il Nemico: Rapporto fra Cugini

 


Lieber Leser,

oggi torno sul mio blog, per condividere, spero per discutere, con te, una spinosa questione che, di sicuro, ti sarà familiare: il rapporto con i cugini.

Pasqua si avvicina, si rompon le uova di cioccolato -e non solo- e da esse estraiamo sorprese belle e meno belle, fra le quali annovero un indesiderato invito ad una cena di famiglia, organissata da mio cugino…

C’è chi entra in tal gogna a Natale, chi a Pasqua e chi ai matrimoni, a me è capitato a Pasqua…

Prima di parlar di me, augurandomi di leggere i vostri commenti, con il mio solito approccio epistemologico, presento il problema.

Viviamo sulla Terra, le cui condissioni ambientali, garantiscono la generale dinamicità degli abitanti e degli eventi: non siamo statici, cambiamo.

Cambiamo, ci costruiamo delle vite, facciamo delle scelte, più o meno audaci, ci dividiamo e ci allontaniamo, chiudendoci in mondi costruiti da noi e per noi.

Anni or sono, un uomo sinistro disse a mio nonno che si è fratelli e sorelle, fino a quando si abita nella casa paterna, non fatico ad estendere la cosa ai cugini, con i quali si è amici, fino a quando ci son i nonni, dopo ci si divide.

Ho, credo, 30 cugini -mia nonna ha dato alla luce sette figli ed ognuno di loro tre pargoli, poi ci son i procugini, i figli dei cugini, insomma siamo troppi-.

Sebbene da bambini ci si vedeva la domenica sera da mia nonna, da grandi non più; sebbene da bambini, ipocritamente, si condividevan interessi, da grandi non più, sebbene da bambini si era tutti uguali, da grandi non più…

Piccole ostilità fra fratelli e cognati estese ai figli, piccole invidie di bambini del tipo, domani non vado a scuola poiché devo andare all’ipermercato, e simili, come patate da wodka fermentano, creando acidità, acidità acuita negli anni e, si sa, il vino, prima o poi diventa aceto…

Questo è quello che, in linea di massima, accade un po' a tutti ed ora parlo di me, come sempre a viso aperto, dopotutto lo dico sempre: gli anni passano ed io divento sempre più testa di ca…!

Son sempre stato libero e non ho mai permesso a nessuno di tarparmi le ali, ho sempre pensato con la mia testa, mi son sempre distinto per il mio caratteraccio, per il mia determinassione teutonica -diciamo pure cocciutaggine da tedescaccio-, non ho mai ceduto, tanto meno seguito gli altri ed è stata questa la mia più grande virtù: essere unico.

Sebbene i cuginetti, alla fine cedevano, scendevano a patti, crollavano, io no: non ho mai indietreggiato dinansi a nessuno, son sempre stato un arrogante, uno spavaldo, un rompiscatole della malora e questo mi ha condotto a far quello che gli altri, i cugini, non facevano per loro remissività, ed ha ingenerato invidia, rancore, ostilità.

Poi siam cresciuti ed i problemi son aumentati: in primo luogo, noi maschi siam stati al quanto birichini, abbiamo avuto molte ragasse ed io, quello che conoscete tutte, ha forse avuto le più belle. Peccato che mi sia stancato presto di loro e le abbia mandate via, sotto gli occhi irosi ed invidiosi dei miei cugini, che sbavavano per le fanciulle, che io praticavo alla guisa delle lattine di coca cola: dopo essermi dissetato, gettavo via il barattolo…. Loro, più bravi di me, le praticavan al lungo, per poi allontanarle, allo stremo del rapporto.

Poi le carriere, io ho fatto i cavoli miei sempre: mi son diplomato nella scuola dei cattivi, poiché volevo studiare talune materie e non nella scuola delle persone serie, poi siamo andati all’università, io ho fatto di tutto di più e, alla fine, son uscito con due lauree e cinque ragasse, che han fatto la fine delle altre; loro hanno frequentato per due mesi, poi hanno abbandonato, dipingendomi come il peggiore dei mostri.

Se loro non hanno avuto il fegato di studiare, cosa voglio da me? Io mi son goduto la via, loro no: io mi son laureato con ritardo, però ho viaggiato tantissimo, ho prodotto molta letteratura, ho avuto il mio fanclub femminile, ho pienamente vissuto gli anni accademici, loro no ed io son il mostro…

Loro hanno preferito i soldi, la vita da persone serie, il lavoro, la fidansata unica ed i figli, alla cultura, alla libertà, alle notti filosofiche, ai viaggi di soli maschi, ai bar notturni…

Ora rimpiangon di non aver mai vissuto, di non avere la laurea, di non esser famosi ed io son il malvagio…

Passano gli anni, alcuni spendon i propri giorni fra studio e divertimento aristocratico ed altri al lavoro, anonimi, con tanto amaro in bocca, insomma vivon da oppressi, da oppressi dalle loro scelte pavide, poiché è la paura di esser fuori dagli schemi che ci opprime e, parafrasando il buon Oscar, sappiamo che gli oppressi si drogan e la droga da loro assunta, non è la cara marjia, ma il pettegolesso, l’oppio degli oppressi!

 Star con i cugini è terribile, non ci son argomenti, se non insulsi pettegolessi, fatterelli degni di comare degli Anni 50, invidia ed ostilità che esala dai loro corpicini, dardi avvelenati, ricordi traviati e deformati al fine di ridicolissarti, permenantissimo senso di inadeguatessa e disagio assoluto, occhiatacce cariche di invidia…

 Questo è star con i cugini! Preferisco il mondo costruito attorno a me, dove imperano libertà di linguaggio e di pensiero, dove si discetta di filosofia, di viaggi, di strampalate teorie fisico-matematiche, dove siam attorno ad una tavola rotonda, tutti incoronati d’alloro, tutti dottori, dove non c’è invidia, ma solo uguagliansa e lealtà e non quella famiglia, tana di velenosi serpenti dai denti smussati…

 Allora perché andara a queste feste? Per evitare che quel brandello di pelle che tiene unito lo stinco al femore si laceri del tutto o per bere veleno e guardare quelle persone con le quali non hai più nulla in comune? Perché tutto ciò? Rispondimi nei commenti…

giovedì 10 aprile 2025

Università.... Mein Liebe!!!!


Caro Lettore,

in questo pomeriggio, da sapore della primavera, mi avvolgo in un mantello di piacevole nostalgia e consueta tracotansa, per condividere con te quanto accadutomi stamane.

 

Mi son svegliato presto, evento ormai rarissimo, e son andato al Politecnico per sostenere uno degli ultimissimi esami e, al termine, non ho resistito alla tentassione di errare per l’ateneo e la prima tappa è stata la prima aula in cui ho avuto lessione, la mitica Aula E. Seppur restaurata, conserva ancora quel fascino reverensiale, ancora trasfonde quel timore, ancor t’avvolge fra le sue pareti, ancor fa venire i brividi…

Brividi che or son di nostalgia, un tempo eran d’euforia… 

Non nego d’esser sempre stato quello che conoscete e, sebbene al tempo del mio primo anno ero un ragassino non molto esperto del mondo, già in me ardeva gagliarda la brace che mi muove ancor oggi… Non mi iscrissi subito ad Ingegneria, così come Gi -la mia celebre amichetta-, tuttavia entrai in quell’aula con la polo rossa, i pantaloni verdi ed i rayban blu, vestito della mia baldansosità, della mia spavalderia e subito fu avvicianto da tre ragasse…

Vedevo nei loro occhietti paura, timore, ritrosia, entusiasmo, speransa; così come Gi che, iscrivendosi dopo di me, mi disse che il primo impatto con il mondo accademico fu fortissimo. Io, nel bene e nel male, entrai arrogante, allegro, desideroso di dissetaermi ingordamente alla fonte del sapere, bramoso d’esser insignito del titolo di "Custode" di quei saperi superiori ai quali avevo sempre ambito e, ancor oggi, ambisco; entrai come quello son sono: vestito con colori accesi, con i miei rayban, con i capelli spettinati ed una smorfia beffarda sulle labbra. Trascorsero giorni, poi mesi, poi anni e sempre più mi sentivo risucchiato in quel mondo magico che è l’università.

Lì avevo tutto e non volevo più andarmene, l’università era diventata la mia casa, tanto quanto la Germania. Fra quei corridoi interminabili, in quelle aule immense, diansi a quei professoroni, circondato da libroni, fissato da lavagne ostentanti equassioni alle derivate parsiali e DIO solo sa quant’altro, avevo trovato una nuova casa, la mia casa!

Lì potevo dire tutte le castronerie che volevo a chi volevo, tutti mi avrebbero dato credito, docenti e studenti, potevo smontare la Fisica e mio piacimento edassoggettare la Matematica al mio pensiero contorto e nessuno mi avrebbe mai taciuto e lì, infatti, ho teorissato tante cose, alcune anche appressate dai docenti di Fisica…

Avevo il mio fanclub femminile: la dolcissima Francesca, che mi dava gli appunti evidensiati e mi teneva il posto, la Claudia sempre pronta a schersare con me, la Raffaella, la gnocca georgiana…Il mio enturage maschile, col quale andare al bar e far visita alla professoressa cattiva, che si scioglieva quando arrivavo io, che ero l’unico a studiare il suo corso. Avevo i miei professori amatissimi, che visitavo ogni settimana, per il sol gusto di far due chiacchere elettroniche, avevo la Cappella con il mio DIO ed il mio Sacerdote, i bagno dei maschi che, per quanto schifosamente lurido fosse, mi permetteva di far pipì freestyle, avevo i distributori di bevande e le aule vuote, ove far comunella con Francesca e Virgilio, avevo tutti i laboratori del mondo, la cui strumentassione potevo usare liberamente e, soprattutto, all’università tutto aveva un senso, anche quelle cose che, la società gretta del quotidiano bolla come sbagliate.

Ecco, lettore, l’Università è questa: quel angolo di mondo in cui puoi esprimerti liberamente ed esser chi vuoi, quel luogo ove puoi crocefiggere la Matematica sensa prender due al compito, ove puoi piegare la Fisica a tuo piacimento e, se ncessario, riscriverla; quello spassio dove quello che dici trova la condivisione di un diavolo, la paissa dove ci sarà sempre un tipo con il quale bere una coca cola ed una ragassa pronta a consolarti, un’altra che ti darà i suoi appunti (perfetti) gratis ed un ragasso che monterà il circuito per te, mentre tu fai l’idiota con Francesca…

L’università non è un esamificio, bensì una fucina di idee e di persone, ove non sei mai in ritardo, ove non sei mai fuori luogo, ove si trova sempre un senso alle cavolate che dici, ove avrai sempre un Professore che ti darà una manina, un amico ed una ragassa disponibile… Se non comprendi questo, allora puoi anche conseguire cento lauree, ma non resterai sempre un poveretto….

Ora prossimo alla mia seconda laurea, guardo con nostalgia i miei anni accademici, ritenendogli i migliori della mia vita e, l’unica parola che posso dire al Politecnico è un laconico, semplice ma immenso grassie!

Grassie di esserci, Politecnico, grassie di avermi forgiato, di avermi accolto ed ospitato, grassie di tutto e, davvero, di tutto!