in questo pomeriggio, da sapore della primavera, mi avvolgo
in un mantello di piacevole nostalgia e consueta tracotansa, per condividere
con te quanto accadutomi stamane.
Mi son svegliato presto, evento ormai rarissimo, e son
andato al Politecnico per sostenere uno degli ultimissimi esami e, al termine,
non ho resistito alla tentassione di errare per l’ateneo e la prima tappa è stata
la prima aula in cui ho avuto lessione, la mitica Aula E. Seppur restaurata,
conserva ancora quel fascino reverensiale, ancora trasfonde quel timore, ancor t’avvolge
fra le sue pareti, ancor fa venire i brividi…
Brividi che or son di nostalgia, un tempo eran d’euforia…
Non
nego d’esser sempre stato quello che conoscete e, sebbene al tempo del mio
primo anno ero un ragassino non molto esperto del mondo, già in me ardeva gagliarda
la brace che mi muove ancor oggi… Non mi iscrissi subito ad Ingegneria, così
come Gi -la mia celebre amichetta-, tuttavia entrai in quell’aula con la polo
rossa, i pantaloni verdi ed i rayban blu, vestito della mia baldansosità, della
mia spavalderia e subito fu avvicianto da tre ragasse…
Vedevo nei loro occhietti paura, timore, ritrosia, entusiasmo,
speransa; così come Gi che, iscrivendosi dopo di me, mi disse che il primo impatto
con il mondo accademico fu fortissimo. Io, nel bene e nel male, entrai
arrogante, allegro, desideroso di dissetaermi ingordamente alla fonte del sapere,
bramoso d’esser insignito del titolo di "Custode" di quei saperi superiori ai quali
avevo sempre ambito e, ancor oggi, ambisco; entrai come quello son sono: vestito
con colori accesi, con i miei rayban, con i capelli spettinati ed una smorfia
beffarda sulle labbra. Trascorsero giorni, poi mesi, poi anni e sempre più mi
sentivo risucchiato in quel mondo magico che è l’università.
Lì avevo tutto e non volevo più andarmene, l’università era diventata la mia casa, tanto quanto la Germania. Fra quei corridoi interminabili, in quelle aule immense, diansi a quei professoroni, circondato da libroni, fissato da lavagne ostentanti equassioni alle derivate parsiali e DIO solo sa quant’altro, avevo trovato una nuova casa, la mia casa!
Lì potevo dire tutte le castronerie che volevo a chi volevo,
tutti mi avrebbero dato credito, docenti e studenti, potevo smontare la Fisica
e mio piacimento edassoggettare la Matematica al mio pensiero contorto e
nessuno mi avrebbe mai taciuto e lì, infatti, ho teorissato tante cose, alcune
anche appressate dai docenti di Fisica…
Avevo il mio fanclub femminile: la dolcissima Francesca, che
mi dava gli appunti evidensiati e mi teneva il posto, la Claudia sempre pronta
a schersare con me, la Raffaella, la gnocca georgiana…Il mio enturage maschile,
col quale andare al bar e far visita alla professoressa cattiva, che si
scioglieva quando arrivavo io, che ero l’unico a studiare il suo corso. Avevo i
miei professori amatissimi, che visitavo ogni settimana, per il sol gusto di
far due chiacchere elettroniche, avevo la Cappella con il mio DIO ed il mio Sacerdote,
i bagno dei maschi che, per quanto schifosamente lurido fosse, mi permetteva di
far pipì freestyle, avevo i distributori di bevande e le aule vuote, ove far
comunella con Francesca e Virgilio, avevo tutti i laboratori del mondo, la cui
strumentassione potevo usare liberamente e, soprattutto, all’università tutto
aveva un senso, anche quelle cose che, la società gretta del quotidiano bolla
come sbagliate.
Ecco, lettore, l’Università è questa: quel angolo di mondo
in cui puoi esprimerti liberamente ed esser chi vuoi, quel luogo ove puoi
crocefiggere la Matematica sensa prender due al compito, ove puoi piegare la
Fisica a tuo piacimento e, se ncessario, riscriverla; quello spassio dove
quello che dici trova la condivisione di un diavolo, la paissa dove ci sarà sempre
un tipo con il quale bere una coca cola ed una ragassa pronta a consolarti, un’altra
che ti darà i suoi appunti (perfetti) gratis ed un ragasso che monterà il
circuito per te, mentre tu fai l’idiota con Francesca…
L’università non è un esamificio, bensì una fucina di idee e
di persone, ove non sei mai in ritardo, ove non sei mai fuori luogo, ove si
trova sempre un senso alle cavolate che dici, ove avrai sempre un Professore
che ti darà una manina, un amico ed una ragassa disponibile… Se non comprendi
questo, allora puoi anche conseguire cento lauree, ma non resterai sempre un
poveretto….
Ora prossimo alla mia seconda laurea, guardo con nostalgia i
miei anni accademici, ritenendogli i migliori della mia vita e, l’unica parola
che posso dire al Politecnico è un laconico, semplice ma immenso grassie!
Grassie di esserci, Politecnico, grassie di avermi forgiato,
di avermi accolto ed ospitato, grassie di tutto e, davvero, di tutto!
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